La storia di Mauro Venturini, paraplegico dopo un tuffo

Un tuffo al fiume, la botta in testa, lo svenimento e il risveglio in ospedale. Prognosi senza appello: lesione midollare alla quinta vertebra cervicale con esito di paralisi a tutti e quattro gli arti. In una parola, tetraparaplegia. Aveva 28 anni, Mauro Venturelli, ex paziente di Montecatone,  quando quel maledetto tuffo al fiume lo rese disabile. La sua storia è oggi il perno della comunicazione e dell’opera di sensibilizzazione che l’associazione tetraparaplegici dell’Emilia Romagna sta promovendo in tutto il territorio.

“Non so bene cosa sia successo quel pomeriggio” racconta, “certo è che sono entrato in acqua nel modo sbagliato. Sbattendo sul fondo sono da subito rimasto immobile a testa sotto acqua. Per fortuna altri bagnanti mi hanno trascinato a riva, altrimenti sarei annegato. All’epoca non esisteva l’elisoccorso: mi hanno trasportato in un piccolo ospedale locale, dove la radiografia ha constatato la lesione cervicale C5. Sarebbe stato necessario arrivare subito in un centro dove poter stabilizzare chirurgicamente la lesione, invece sono stato operato solo dopo quattro giorni”.

Dopo due anni di terapie, interventi, parole amare, Mauro torna a casa e il trauma si amplifica. “Erano passati poco meno di due anni dall’incidente e il ritorno a casa è stato il secondo grande trauma – ricorda Venturelli -. Per fortuna carattere e caparbietà non mi sono mai mancati. Già dopo pochi mesi dalla dimissione ho capito che dovevo riacquistare la massima autonomia possibile, riprendendo la patente di guida con comandi al volante, continuando a far esercizi riabilitativi, informandomi in materia di disabilità e soprattutto accettando la mia nuova situazione. Era iniziata la mia nuova vita”. Ed era iniziata con un tuffo.

“Troppi ragazzi rischiano danni gravissimi, in strada, con i tuffi o con altri comportamenti spericolati. Parlarne è importante – spiega Mauro -. Noi dell’associazione Paraplegici Emilia Romagna abbiamo come primo obiettivo la sensibilizzazione”. Il motto dell’associazione è indefessamente ironico: facciamo di tutto per non avere nuovi associati. “Il nostro impegno si concretizza anche nel tentativo di migliorare la qualità dei servizi” conclude infine “oggi c’è una maggiore consapevolezza che trovare una situazione funzionale al momento del rientro a casa è fondamentale e che questa va preparata attentamente già dalla fase del ricovero ospedaliero. L’obiettivo delle Unità spinali deve essere quello di riconsegnare alla persona la massima autonomia possibile, presentando quelle opportunità che a casa sarebbero più difficili da cogliere. E’ necessario trasferire le competenze dalle Unità Spinali ai servizi territoriali, dove non c’è ancora una cultura adeguata, mancano formazione e informazione”.

FONTE
SuperAbile.it

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