Ma se potesse riavere, per un miracolo, le sue gambe vere, di carne e ossa, le rivorrebbe indietro? «No». La risposta è secca, fredda. Rispecchia il carattere granitico dell’uomo.
Hugh Herr è diventato famoso per aver creato le gambe artificiali che fanno volare Oscar Pistorius alla stessa velocità degli atleti integri, ai massimi livelli mondiali. Ora, quei piedi con i quali aveva scalato a 13 anni una parete di granito alta 300 metri, senza corde, chiodi o moschettoni, senza dir niente ai genitori per non essere sgridato, Herr non li rivorrebbe indietro. «Sono meglio le mie protesi. La gente pensa che il corpo umano sia perfetto, non migliorabile.
Herr, 44 anni, domenica 19 ottobre sarà in Italia per partecipare a BergamoScienza. Sfrutta tutti i ritagli, sopporta male i ritardatari. «Mi sono detto: una grossa porzione del tuo corpo è artificiale. Per sostituire le banali protesi che gli avevano fornito all’ospedale, Herr, durante i mesi della riabilitazione, si fabbrica una specie del tutta nuova di marchingegno, concepito più per scalare che per camminare.
Una decina di anni dopo, dopo una laurea in medicina e una in ingegneria al Mit di Boston, e un dottorato in biofisica a Harvard, Herr si ritrova a dirigere il «Biomechatronics research group» al Mit. Un team di una ventina di persone, età media 30 anni, rimasto nella semi-oscurità fino all’avvento di Pistorius. «Con le nostre protesi intelligenti abbiamo aiutato migliaia di persone colpite da ictus, paralisi, sclerosi multipla – racconta Herr, un po’ infastidito da questo legame troppo stretto con la celebrità dell’atletica -. Esplorare i limiti degli atleti ci serve per superare i nostri limiti e fornire soluzioni sempre più avanzate, per far vivere meglio le persone».
Neppure le gambe «Cheetah», da «ghepardo», di Pistorius sono un limite. Herr guarda più avanti. «Sono convinto che sia possibile costruire protesi molto più efficienti. Il passo successivo sarà il collegamento al corpo. Fra un decennio sarà possibile impiantare nei muscoli sensori, che potremmo chiamare “protesi interne” e che trasporteranno gli impulsi dal cervello alla protesi esterna». Questo sviluppo senza limiti, però, non porterà all’uomo bionico, al cyborg, almeno secondo Herr. «Non stiamo costruendo una nuova specie. Se ci pensa, siamo già oggi pieni di protesi, occhiali, corone dei denti, apparecchi acustici, ginocchia artificiali.
In attesa delle protesi collegate ai muscoli, e forse dell’uomo bionico, Herr si concentra sulla risoluzione del maggior difetto delle pur avanzatissime gambe artificiali del «Biomechatronics research group». «Il problema è che le protesi finora concepite sono completamente “passive”: quando il piede tocca terra, provocano un’andatura innaturale, che costringe l’amputato a consumare il 30% di energia in più rispetto agli altri. Già adesso, però, abbiamo a disposizione una robotica più avanzata e articolazioni artificiali anca-piede mosse da un motore elettrico che possono fornire l’energia sufficiente a compensare questo deficit».
Le nuove protesi usate da Herr, anche sulle pareti di granito, sono di questo tipo. Herr ha difeso in tribunale il diritto dello sprinter sudafricano a correre alle Olimpiadi, anche se poi la qualificazione ai Giochi è sfuggita all’amico per pochi decimi di secondo. La tecnologia è disabile, finché non risolve i problemi.
FONTE
LaStampa.it