Google finisce alla sbarra per aver umiliato un disabile

Nei giorni scorsi a Milano, il pm Francesco Caiani, ha disposto la citazione diretta a giudizio di 4 manager della società americana, accusandoli di concorso in diffamazione e violazione della privacy. A rispondere delle accuse saranno David Carl Drummond, presidente del consiglio d’amministrazione di Google Italy Srl, George de Los Reyes, membro del Cda, Peter Fleitcher, responsabile delle politiche sulla privacy per l’Europa Google Inc., e Arvind Desikan, responsabile del progetto Google Video per l’Europa. Il processo è stato fissato per il 3 febbraio davanti al giudice monocratico della quarta sezione penale del Tribunale.

Il filmato della vergogna venne ritirato dopo lo scoppio di dure polemiche sulla presenza di questi video, diventati una mania per illustrare le gesta poco edificanti del bullismo. Per gli studenti (che avevano simulato anche una telefonata all’associazione di difesa dei disabili Vivi Down) il tribunale dei minori di Torino stabilì come pena un periodo di messa alla prova. Ma per i responsabili della società Internet i magistrati stabilirono che i dirigenti «avevano l’obbligo giuridico di impedire l’evento», predisponendo un’informativa sulla privacy visibile nel momento in cui l’utente caricava il “file” sul sito. Inoltre Google avrebbe concorso alla diffamazione dell’associazione disabili e del ragazzo autistico «ledendo i diritti e le libertà fondamentali nonchè la dignità degli interessati». La violazione sarebbe stata fatta per «trarne profitto tramite Google video», che si finanzia con la pubblicità.

La società, ha replicato sostenendo come «la scelta della procura di Milano sia poco comprensibile e rischi di creare un precedente preoccupante. Non possiamo condividere la tesi secondo cui lo strumento è corresponsabile dell’utilizzo che ne viene fatto. Anche per questo crediamo fermamente che il procedimento riguardi non tanto Google quanto la natura di Internet: un ambiente libero e aperto, del quale ciascuno può contribuire alla crescita e alla tutela, ma che non può essere imbrigliato o censurato». Google forse dimentica i precedenti di censura in Cina e l’assioma del sociologo McLuhan secondo il quale «il medium è il messaggio», circostanza alla quale sembrano invece essersi ispirati i magistrati. La battaglia in tribunale affronterà dunque per la prima volta i limiti della libertà in Internet.

FONTE:
LaStampa.it

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