Ai diversamente abili nessun diritto all’istruzione

Formazione e disabile“Queste politiche scolastiche sono evidentemente gestite da finalità economiche, per risparmiare”. Cominciava così la lettera con la quale due noti pedagogisti, Andrea Canevaro e Dario Ianes, si sono dimessi, lo scorso ottobre, dall’Osservatorio per l’Integrazione scolastica del Ministero della Pubblica Istruzione. Un organismo il cui compito è favorire e migliorare la qualità dell’inclusione degli alunni con bisogni educativi speciali, ovvero quegli studenti chiamati più comunemente “disabili”. Visto che il raggiungimento di tale scopo è impossibile se mancano insegnati e risorse, si spiega da sé l’atto di dimissione dei due professori, che nella lettera così proseguivano le loro motivazioni: “i risparmi avverranno sulle spalle delle famiglie, sulla pelle degli alunni e sulla credibilità della scuola pubblica”.

Sono tanti i cambiamenti che preoccupano le famiglie degli alunni con disabilità. E’ stato abrogato, tanto per cominciare, un decreto ministeriale che limitava a 20 il numero di studenti di una classe con la presenza di un compagno diversamente abile, oppure di due se lievi. Una normativa che, a dire il vero, era già ampiamente disattesa, ma la sua abolizione fa pensare che, a partire dal prossimo anno scolastico, diventerà consuetudine formare classi con più di due studenti disabili presenti e con più di venti alunni in totale.

Nelle classi elementari, il famoso maestro unico potrà avere classi anche di 29 alunni. Prima della riforma, dove della parola handicap non si trova traccia, il limite era di 25. Con la Gelmini, inoltre, verranno soppresse le ore di compresenza, ovvero, quei momenti di maggiore integrazione per gli studenti diversamente abili. La presenza di più maestri contemporaneamente permette loro, infatti, di usufruire di progetti educativi-didattici condivisi con gli altri compagni. Quello che succederà è che sarà prevalentemente l’insegnante di sostegno a doversi occupare dell’alunno disabile.

Ostacolare l’integrazione scolastica degli studenti con handicap non è una tendenza solo del governo attuale. Con la Finanziaria del 2008, il ministro Fioroni introdusse il rapporto medio nazionale di un posto di sostegno ogni due disabili, a prescindere dal tipo e dalla gravità dell’handicap. Un atto che fu contestato in quanto fondato su un’equazione matematica che non prende in considerazione le effettive esigenze di questa particolare utenza. In Emilia-Romagna, lo scorso anno scolastico, gli alunni in situazione di handicap (dalle elementari alle superiori) erano 11.216. Il numero degli insegnanti di sostegno era di 5465. Il rapporto 1:2 è stato, dunque, quasi rispettato. All’appello, per la precisione, sono mancati 143 insegnanti. Ma a preoccupare, oltre al loro numero, è l’atipicità che caratterizza i docenti di sostegno. Se andiamo a leggere il rapporto regionale sul sistema di istruzione e formazione del 2008, vediamo che quasi i due terzi di loro non sono di ruolo. Una situazione del genere fa sì che non vi sia continuità per gli alunni con disabilità. La probabilità che ogni anno partano con un insegnante diverso è alta. Se poi si va a vedere il dato relativo alla “specializzazione” della docenza assegnata a questa delicata tipologia di posti si scopre che quasi un quarto degli insegnanti in servizio è sprovvisto dello specifico titolo di studio.

Per l’integrazione degli alunni disabili, la strada si fa dunque in salita. Oltre alle casse dello Stato, sempre più vuote per la scuola, ci sono anche quelle degli enti locali a faticare con gli investimenti. Comuni e Province hanno un ruolo importante nell’integrazione scolastica, ma non è detto che riescano a mettere una toppa laddove verrà a mancare l’apporto dello Stato.

Quello italiano era, per quanto riguarda l’integrazione scolastica, un modello preso d’esempio dagli altri paesi. In Europa a prevalere sono sistemi misti con scuole e classi speciali. Un’esperienza, la nostra, che è vicina alla fine. Come dire, con la Gelmini, si chiude un ciclo. “L’abbiamo visto anche noi”, scrivevano i ragazzi di Don Milani, “che con loro la scuola diventa più difficile. Qualche volta viene la tentazione di toglierseli di torno. Ma se si perde loro, la scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. Gli alunni di Barbiana si riferivano, con queste parole pubblicate in “Lettera a una professoressa”, ai loro coetanei “difficili” espulsi dalle scuole “dei ricchi”. Ma la riflessione si adatta anche a quegli alunni difficili poiché diversi che la scuola fatica sempre più ad accogliere, visto la mancanza di strumenti con cui si trova a dovere fare i conti.

FONTE:
ViaEmiliaNet.it

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