Lo sport, prima di tutto. Anche di quel maledetto incidente del 1978, quando ha visto una montagna di bancali crollare sulle sue gambe da calciatore di seconda categoria e spezzare i suoi sogni di adolescente. Aveva diciassette anni e tanta voglia di indipendenza. E invece si è ritrovato nella struttura di Monte Catone, senza un pallone, cullato e protetto per un anno. Giuliano Bonato, assistito Inail classe 1961, originario di Verona ma residente a Rimini, sfoglia i suoi ricordi come un album di figurine color seppia. “Quegli anni erano la preistoria per la paraplegia o quasi – racconta -. Il mondo era ricco di barriere architettoniche e povero di posti accessibili. Un giorno, mentre aspettavo degli amici fuori da un negozio, la gente si è messa pure a farmi la carità”. Anni difficili per lui. Poche realtà con cui confrontarsi, qualche società sportiva, poche associazioni di disabili.
La solitudine. Poi un timido, incoraggiante segnale: “Nel 1979 ci fu il primo campionato di basket per disabili a cui però non partecipai – spiega Giuliano – per la paura di finire in un ghetto, di venire etichettato per sempre come disabile e trovarmi a uscire solo con certe persone”. Paura sintomo di un groviglio psicologico ancora irrisolto, di un blocco esistenziale e di un’autostima difficile da superare. Infine, la svolta: “Dopo vari anni di allenamento – continua Giuliano – nell’85 decisi di giocare il primo campionato non da titolare nella squadra di Verona. Così lo sport è diventato una terapia invisibile ma efficace, che nessuna riabilitazione mi avrebbe mai potuto dare”. Giuliano può oggi vantare dieci anni di basket a buoni livelli e uno stage nella nazionale dove “ho potuto confrontarmi con i disabili delle squadre straniere, molto più avanti di noi come mentalità e attrezzatura”. Nel 1995 la decisione di smettere. “Ero al culmine della carriera – dice – ma avevo bisogno di una svolta nella mia vita.
Stavo ancora dai miei a Verona, avevo bisogno di più autonomia. Così ho deciso di mollare il basket e di trasferirmi a Rimini, dopo una vacanza rivelatrice”. Ma la passione non l’ha mai abbandonato: “Nel 2000 ho deciso di ricominciare – continua – in una squadra amatoriale di Imola. Con i miei amici ci alleniamo alcune volte a settimana”. Una passione che da qualche anno è diventata il suo lavoro: “L’Asl di Rimini – spiega – mi ha contattato nell’estate del ‘99 per organizzare alcuni giochi per disabili nell’ambito di ‘Blu Rimini’, una grande iniziativa della riviera romagnola. Naturalmente ho accettato”. Una collaborazione che ha dato buoni frutti, visto che dal 2000, grazie ad una borsa lavoro, Giuliano è impiegato nei centri Informa handicap dell’Asl. “Mi occupo di rispondere alle telefonate delle persone che chiedono consiglio per ausili, normative, mobilità nella realtà di Rimini – dice – una realtà peraltro molto accessibile”. Accanto a Giuliano c’è Roberta, la moglie, che ha conosciuto nel 2002 in spiaggia, come nel copione di un film: “Lei è originaria di Pordenone – racconta – ed era a Rimini in vacanza. Ci siamo sposati nel 2006 e da allora mi accompagna in tutte le mie avventure, sportive e non”. Sì, perché Giuliano non si accontenta del basket: ha fatto la maratona di Berlino e va regolarmente in handbike. E poi viaggia molto. A Cuba, nelle Mauritius, ma anche in Italia: la Cascata delle Marmore, Montebello. “Problemi dovuti alle barriere architettoniche? Quelli ci sono sempre – commenta – il consiglio che dò a tutti e di passarci sopra. Quando ti fermi troppo a pensare è perché hai problemi di autostima, hai paura di queste cose. Con gli anni ho imparato a essere più rilassato”.
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