Scrive Laila Montanari, disabile di Parma, al direttore della Gazzetta: una riflessione, la sua, che parte dalle barriere architettoniche, ma putna il dito sulle soluzione pensate per abbatterle. Non sempre, scrive, “la soluzione adottata per risolvere i problemi non è sempre la più semplice e nemmeno la più efficace”. Tanti gli esempi: dai montascale “ricoperti che fanno bella mostra di sé” ai citofoni dove “si rischia di rimanere davanti all’ingresso inaccessibile in vana attesa”. L’abbattimento delle barriere ha un obiettivo: l’autonomia della persona disabile. “Signor direttore, sono una persona disabile e vorrei dare un piccolo contributo di esperienza personale alla lotta per l’eliminazione delle barriere architettoniche, dato che il nostro Comune di Parma sembra essere diventato un punto di riferimento per altri che vengono ad osservare le sue scelte e ne vorrebbero trarre degli esempi. Mi preme sottolineare che fino ad oggi sembra essere stato trascurato l’obiettivo finale dell’abbattimento delle barriere che è la completa autonomia del soggetto. Infatti – è l’accusa di Laila Molinari – spesso vedo che la soluzione adottata per risolvere i problemi non è sempre la più semplice e nemmeno la più efficace”.
“Prendiamo ad esempio i fantomatici montascale che fanno bella mostra di sé, ben ricoperti perché non prendano polvere o pioggia, davanti ad alcuni uffici pubblici o negozi o studi professionali. In molti casi per poterli utilizzare innanzi tutto bisogna chiamare l’addetto che venga a metterli in funzione, quindi – continua a scrivere – è necessaria la presenza di un accompagnatore (e questa sarebbe autonomia?), poi bisogna sperare che il lungo inutilizzo non abbia messo fuori uso qualche ingranaggio. Un altro esempio di abbattimento di barriere è dato dall’installazione di un pulsante o di un citofono attraverso il quale si può richiamare l’attenzione del personale all’interno dell’edificio. Quando tutto funziona esce un addetto che porta una pedana la posiziona per l’uso e poi la rimuove; altrimenti si rischia di rimanere davanti all’ingresso inaccessibile in vana attesa. Naturalmente ognuno di noi sa che poi troverà la soluzione facendosi aiutare da passanti sempre volenterosi, oppure dando uno strillo all’interno o usando al meglio la fantasia”. “Un’altra contraddizione evidente – continua – è l’ubicazione degli stalli di sosta per i disabili all’interno di aree di parcheggio pubblico. Guarda caso sono quasi sempre posizionati nei punti più scomodi dagli ingressi degli uffici o dei locali di svago a cui sono destinati”. “Per ultimo – conclude – suggerirei ai nostri tecnici di farsi un giro sui marciapiedi di via D’Azeglio”. “Per fortuna le persone che circolano in quella zona a bordo di una carrozzella sono abbastanza prudenti da evitare le discese scivolose e ripide e le relative cunette all’interno delle quali è molto facile rimanere incastrati se non si è abbastanza ingegnosi. Non voglio credere che queste scelte siano fatte per creare disagio, direi piuttosto – chiude infine la signora Laila – che siano la dimostrazione che solo l’esperienza diretta consente di capire la differenza tra la condizione fisica cosiddetta normale e la disabilità”.
FONTE:
SuperAbile.it