«Un giorno – raccontano dalla casa editrice Mursia – ci arrivò un manoscritto. La singolare lettera di accompagnamento diceva: “Da anni sono immobile e tenuta in vita da un ventilatore polmonare e vivo una difficile ma sorprendente avventura che ho sentito il bisogno di raccontare ‘a cuore aperto’ con autoironia e senza nascondermi”. Fu quel sorprendente a conquistarci. Ora quel manoscritto è diventato un libro». La lettera era firmata da Marinella Raimondi, insegnante di tedesco nelle scuole superiori, sposata, due figlie, che alla soglia dei quarant’anni si è trovata nel “ciclone” di quella grave malattia neurodegenerativa progressiva – la sclerosi laterale amiotrofica (SLA) – che colpisce i motoneuroni, ovvero le cellule nervose cerebrali e del midollo spinale, e che a poco a poco l’ha privata di ogni movimento.
Sono poco meno di 4.000 le persone in Italia affette da questa patologia, la cui vita quotidiana – e quella delle loro famiglie – Marinella ha voluto raccontare in Cosa importa se non posso correre, libro di recente uscita, dalla prospettiva per molti aspetti inedita, che dà corpo alla “strana avventura di un corpo inerte” su e giù per il tempo e per il mondo, in perenne stato di empatia con tutti coloro che sono intorno. «Cosa importa – si legge nel libro – se non posso correre, quando posso sentire le mie figlie entrare in casa dicendo: “Ciao, mamma!”, posso sentire mia madre sfaccendare in cucina, posso vedere Riccardo e Bianca gironzolare per casa, posso sentire il loro affetto per me e posso vedere, sentire, pensare». Una frase che rappresenta mirabilmente la cifra costante del libro e lo spirito di chi lo ha scritto. Né mancano, per altro, parti dedicate a temi di stretta attualità, come lo sciopero della fame recentemente attuato da alcune persone affette da SLA. «Ogni tanto – scrive Marinella Raimondi – bisogna fare la voce grossa.
E chi la voce non ce l’ha? Chi non può nemmeno alzare un dito, una mano, la testa? Il malato di SLA ha bisogno di tutto: di essere lavato, cambiato, pulito, nutrito, vestito, svestito, mosso, alzato, pettinato. È evidente che non basta la buona volontà dei familiari, servono l’intervento delle istituzioni, aiuti concreti, personale esperto, assistenza. I gesti estremi, come lo sciopero della fame, servono per attirare l’attenzione su certe situazioni di abbandono molto frequenti, ma non bastano. Bisogna spiegare, mostrare, far capire, coinvolgere». O anche passaggi riguardanti casi di grande clamore, come le storie di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro, sulle quali Marinella scrive: «Davanti a tanto dolore e tanto mistero sarebbe stato opportuno stare in silenzio. Invece tutti, politici, uomini della Chiesa e gente comune, hanno voluto spendere la loro squallida, inconsapevole, arrogante e inutile parola per giudicare».Nei suoi primi sintomi, la malattia di Marinella si era manifestata con una perdita di voce, preannunciando la completa afasia cui sarebbe stata costretta. Ma lei non ha mai perso la voglia di comunicare, prima con una lavagnetta, poi con un computer realizzato appositamente per persone con disabilità motoria. E anche Cosa importa se non posso correre è stato scritto proprio grazie a questo ausilio informatico, con l’autrice che, per ogni singola lettera, dava un colpo al mouse tramite una contrazione delle gambe, unico movimento concessole oggi dalla SLA. Uno spirito battagliero presente anche nella sua opinione sull’eutanasia, all’insegna per altro di una lucida consapevolezza: «All’eutanasia non ci penso proprio. Io amo la vita, anche questa vita a metà. Voglio ancora vivere, per mille motivi. Ma quando la sofferenza toglierà ogni possibile gioia, allora io invoco il diritto di scelta».
Marinella Raimondi, Cosa importa se non posso correre, Milano, Mursia, 2009, 208 pagine, 12 euro
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