Milano: La Storia di Analia colpita da Sclerosi Multipla

“La mia malattia rischia di farmi finire su una sedia a rotelle: io per sfidarla ho fatto il giro del mondo in cinquanta giorni”. Analia Pierini, 43 anni, regista italo-argentina ora impiegata alla banca Unicredit di Milano, si è trasformata in globetrotter contro la sclerosi multipla. Di ritorno nella sua casa all’Isola, ex quartiere popolare diventato il ritrovo di artisti, designer e musicisti tra una visita e l’altra all’ospedale Sacco oggi la coraggiosa giramondo racconta la sua avventura sul seguitissimo blog in tre lingue (italiano, spagnolo e inglese) http://analiapierini. e su una pagina di Facebook intitolata The healing trip (Il viaggio della guarigione). È una scommessa vinta con se stessa: “Quando mi hanno diagnosticato la malattia, tredici anni fa, credevo di avere perso per sempre l’indipendenza dice seduta in un bar a due passi da piazza Cairoli, dopo avere appoggiato sul tavolino gli articoli che le hanno dedicato quotidiani come El mundo, l’argentino Perfil e il newspaper di Staten Island (New York) .

Invece sono riuscita a viaggiare da sola e a realizzare il mio sogno di libertà. Contro la paura che paralizza prima della sclerosi multipla”. Mosca, Bangkok, Pechino, Tokyo, Sidney, Auckland, Nadi alle isole Fiji, Los Angeles e New York. Eccolo, il viaggio di 40 mila chilometri di Analia Pierini, con quattro giorni di sosta per città, più uno per ogni spostamento: la partenza è a Linate, il 12 ottobre, con un trolley rosso, dentro il quale riescono a starci anche telecamera e computer. Il ritorno, il 28 novembre.  La decisione di fare il giro del mondo la prende la notte di San Silvestro del 2007, mentre è a festeggiare a casa di una ballerina della Scala che l’incoraggia. I due anni successivi li impiega per organizzarsi: ci sono le medicine da portare in un (mini) frigorifero, i soldi da trovare (glieli darà poi la Bayer che produce uno dei farmaci che prende), le associazioni internazionali di sclerosi multipla da contattare per andare a portare il suo messaggio di speranza ai malati, le tappe da definire, i documenti da preparare per superare i controlli negli aeroporti con un pacemaker addosso. Dove dormire, invece, per Analia non è quasi mai un problema: Natsu Toyofuku, Libby Saul, Sole, Karlevo Baker, Claire Dolphing, Wendy Kay e Monica Castiglioni sono gli amici internazionali di una vita che le aprono le porte della loro casa nella maggior parte delle città visitate. Alle isole Fiji s’organizza tramite il couchsurfing (il programma, che letteralmente vuol dire saltare da un divano all’altro, mette in contatto tramite internet i viaggiatori con gli abitanti del luogo visitato che mettono a disposizione una stanza, il divano di casa oppure anche solo un angolo di giardino in cui piantare la tenda); a Mosca, Pechino e Sidney Analia, invece, va in albergo.

“Ho cercato ovunque soluzioni low cost sottolinea. L’importante per me era riuscire a incontrare i malati di ogni parte del mondo. Oggi sono felice: sono stata accolta con un affetto decisamente oltre le mie aspettative”. Nata a Rosario, in Argentina, Analia Pierini viene ad abitare a Milano 20 anni fa per diventare regista. L’amore per i viaggi, del resto, è nel suo Dna: la mamma vive a Buenos Aires, il papà a Rosario, il fratello Gustavo a Barcellona. Prima di ammalarsi riesce a girare due cortometraggi autoprodotti Angela, un anima in pena e O mamma. La diagnosi tronca il futuro da cineasta, ma non la voglia di vivere, impossibile da perdere, d’altrocanto, per una che adora la pirata Anne Bonny e tiene sul comodino I sette pilastri della saggezza con la storia del leggendario Lawrence d’Arabia. “Non voglio vedere la malattia come un ostacolo” ripete. “La vita va vissuta fino in fondo”. Tra i ricordi di viaggio, il Museo dello spazio a Mosca; la lavatrice modello anteguerra trovata a casa dell’amica a Bangkok; l’Halloween vestita da gatto a Tokyo; il sorriso di Yaou Liu, il radiologo cinese che aiuta tra mille difficoltà i suoi pazienti; le spettacolari eruzioni di geyser in Nuova Zelanda. “Ma a darmi ancora più coraggio sono state le storie d’amore dei malati che ho incontrato. Sono la prova che la vita può essere più forte di tutto”, conclude Analia, mentre s’avvia verso la fermata del metrò con in mano il libro Amabili resti di Alice Sebold: “Lo voglio finire stanotte, perché domani voglio andare a vedere il film appena arrivato in Italia”.

FONTE:

SuperAbile.it

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