A quindici anni i primi sintomi, a venti lo scontro con la realtà, e poi la lotta per convivere serenamente con un nemico forte ma non invincibile. Serenella Tabani era una bella ragazza di quindici anni. Studiosa, serena, con tanti sogni e un futuro da inventare. Ma un giorno all’improvviso i suoi sogni si sono trasformati in incubi. Senza risveglio. Per colpa della sclerosi multipla, una malattia relativamente comune, che in Italia colpisce più di 30 persone ogni 10.000 e che un tempo portava inesorabilmente alla disabilità: ma oggi, grazie alla ricerca, non è più così invincibile. La Tabani – radici livornesi, un passato da operatore socio sanitario nella scuola, a contatto con i disabili, un marito, Stefano che fa il camionista, un figlio, Francesco di dieci anni – dall’aprile scorso è presidente dell’Aism (Associazione italiana sclerosi multipla) di Livorno e vuole aiutare chi, come è accaduto a lei, si trova all’inizio di un incubo, ad affrontare serenamente la malattia.
Raccontando il suo percorso Serenella spiega che i primi sintomi del suo malessere, si fecero sentire in un pomeriggio di allegria, mentre a 15 anni stava ballando in un locale insieme ai suoi amici.
«Iniziai a vedere doppio – racconta – e una volta a casa riferii l’accaduto a mia madre, che il giorno dopo mi portò da un oculista. La diagnosi fu: paralisi al nervo ottico».
A quel punto?
«Fui ricoverata in ospedale, dove mi diedero il Cronassial, un farmaco che anni dopo venne definito altamente cancerogeno, ma che al momento risolse il mio problema. Nel frattempo però, girando i vari reparti per le visite di controllo, incontrai il professor Ludovico Inghirami, neurologo. Dopo avermi visitato mi disse che era tutto a posto, ma che avrebbe voluto rivedermi dopo un mese».
Poi cosa accadde?
«Dopo una settimana persi la sensibilità agli arti superiori, perciò la mamma telefonò a Inghirami chiedendo un controllo urgente. E lui che aveva avuto già qualche sospetto, confermò la diagnosi di sclerosi multipla. Diagnosi avvalorata poi anche da altri specialisti consultati dai miei genitori che, allarmati, mi fecero ricoverare anche all’ospedale di Pisa».
Ma lei si rese conto subito della gravità della sua malattia?
«Scoprii la verità solo a vent’anni. Mia madre aveva deciso di nascondermela, raccontandomi che i miei disturbi erano causati da noiose ma curabili nevriti».
Chi gliela rivelò?
«Il professor Inghirami, dal quale andai dopo il matrimonio per un controllo. Gli raccontai che mio marito e io avevamo deciso di mettere al mondo quattro o cinque figli e lui, in modo burbero, mi sconsigliò, gettandomi in faccia senza tanti preamboli la verità».
Come reagì?
«Malissimo. Me la presi soprattutto con la mamma che me l’aveva tenuta nascosta, anche se adesso che sono mamma capisco quanto deve aver sofferto in silenzio, insieme a mio padre, per permettermi di vivere serena un po’ di anni».
Suo marito invece come affrontò il problema?
«Tranquillamente. Stefano e io siamo fidanzati da quando io avevo quindici anni (età in cui mi sono ammalata) e siamo cresciuti insieme giorno dopo giorno, affrontando insieme ogni cosa, nel bene e nel male».
Il vostro progetto di avere tanti figli con la rivelazione del neurologo però andò in fumo.
«Stefano non toccò più l’argomento, probabilmente per non farmi del male. Poi però le cose cambiarono, nel 1995 arrivò l’Interferone (farmaco usato per per rallentare la progressione della patologia nella sclerosi multipla, ndr), io iniziai come tanti malati a farne uso. Con l’aiuto del dottor Bardi, un neurologo che fu per me più che un padre, e di un ginecologo, il dottor Morini, che seguì passo dopo passo la mia gravidanza programmando anche il taglio cesareo, dopo cinque anni nacque Francesco, un bambino sano e meraviglioso che oggi è la mia gioia».
Francesco sa che ha una madre malata di sclerosi multipla o gliel’ha tenuto nascosto come ha fatto la sua mamma con lei?
«Sa tutto. A cinque anni è stato seguito da uno psicologo, perché sia io che mio marito volevamo che fosse consapevole da subito che lui con la mia malattia non c’entrava, per poter vivere tranquillamente la sua infanzia. Ora è un bambino sereno, anche se molto più maturo della sua età e io mi sento una mamma come le altre, anche se cammino con l’aiuto del bastone o della sedia a rotelle».
In questi dieci anni è riuscita a fare bene la moglie e la mamma e ora aiuta altre donne come lei a superare i momenti difficili. Perché questa scelta?
«Voglio dare il mio contributo alle persone malate e fare in modo che sappiano a cosa vanno incontro, ma anche come possono convivere serenamente con la malattia. Se io avessi saputo da subito tante cose, avrei affrontato gli ostacoli con meno paura».
Oggi, al contrario di ieri, la sclerosi multipla è molto più gestibile.
«La scienza, grazie all’Aism e alla ricerca, sta andando avanti a passi da gigante e non si deve più temere il peggio. Per questo io e tutto il mio gruppo – persone malate come me, di ogni età – siamo a disposizione di chiunque abbia bisogno di confidarsi, di sfogarsi, di trovare una spalla su cui piangere se è necessario, ma soprattutto amici a cui appoggiarsi in caso di bisogno e per qualsiasi cosa: siamo una bella realtà, ridiamo, scherziamo e anche nella nostra disabilità non abbiamo nulla da invidiare a chi sta meglio».
Quanti sono i malati di sclerosi multipla a Livorno e provincia?
«Non tutti si rivelano, c’è ancora chi ha vergogna e si nasconde. Per ora noi contiamo un’ottantina di associati fra malati e non».
Più donne o più uomini?
«Più donne e a volte molto giovani: in genere da 20 a 40 anni, ma ci sono persone che si sono ammalate a 50 anni e si riscontrano purtroppo anche dei casi pediatrici».
Lei ha una situazione famigliare felice. Ma ci sono casi in cui il coniuge sano fugge di fronte alla malattia del proprio partner?
«Purtroppo sì, perché a volte il male può fare paura».
Sono più le donne o gli uomini a spaventarsi e fuggire?
«Non c’è una paura maschile o femminile, ma ci sono situazioni diverse. Così come fra gli ammalati di sclerosi multipla c’è chi si arrende di fronte alla malattia, fra i famigliari di queste persone c’è chi non ce la fa ad affrontare i problemi che ne conseguono. E oggi che non esistono più valori, questi casi sono all’ordine del giorno».
Cosa l’aiuta ad andare avanti oltre all’amore della sua famiglia?
«Il buddismo, una filosofia che pratico da sei anni e che alle mie richieste ha dato delle risposte concrete, quelle risposte che pur cercandole non ho trovato altrove».
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