Tutela giudiziaria e discriminazioni per i diversamente abili.

Diversamente abileIl provvedimento assume anche per le persone con disabilità strumenti di procedura giudiziaria già adottati per altri aspetti discriminatori.
La norma trae origine da direttive dell’Unione Europea sulla parità di trattamento fra le persone.
La direttiva del Consiglio 2000/43/CE del 29 giugno 2000 (recepita dal decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215) richiama formalmente il principio della parità di trattamento fra le persone, indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica.

Inoltre la direttiva del Consiglio 2000/78/CE del 27 novembre 2000, (recepita dal decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 216) fissa alcuni punti fermi per la parità di trattamento in materia di lavoro.
Ma ciò che più conta è l’articolo 81 del Trattato sulla Costituzione per l’Europa, che vieta chiarissimamente qualsiasi tipo di discriminazione derivante, tra le altre cose, anche sulla disabilità oltre che sul “sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età e l’orientamento sessuale.”

L’articolo 2 del disegno di legge approvato illustra quali siano i comportamenti da considerare discriminatori distinguendo fra discriminazione diretta e indiretta.
La discriminazione è diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una non disabile in una situazione analoga.
La discriminazione è indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone.
Rappresentano poi discriminazione tutti quei comportamenti indesiderati che creano nei confronti dei disabili un clima di intimidazione ostile e degradante, il cosiddetto mobbing,oltre che a ledere la loro dignità e la libertà.

Le misure previste dal disegno di legge per contenere o sanzionare i comportamenti discriminatori sono, come già detto, di natura giurisdizionale, consistono cioè in una maggiore tutela di chi ricorre contro situazioni discriminatori.
Il Legislatore riprende le disposizioni di tutela giurisdizionale già previste dal Testo unico sull’immigrazione (articolo 44 del decreto legislativo n. 268/1998) che si affiancano a quelle ordinarie previste dal Codice Civile.
L’articolo 44 del decreto legislativo n. 268/1998, prevede che “in presenza del comportamento produttivo di una discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, prevede la possibilità di agire in giudizio davanti al tribunale civile in composizione monocratica al fine di poter ottenere un’ordinanza che, anche in via di urgenza, possa rimuovere gli effetti della discriminazione e risarcire il danno subito, anche se di natura non patrimoniale.”
In caso di accoglimento, i provvedimenti richiesti sono immediatamente esecutivi. Una sanzione penale è irrogata in caso di mancata esecuzione dei provvedimenti del giudice (reclusione fino a tre anni o multa da 103 a 1.032 euro).

Lo stesso articolo ammette la possibilità per il ricorrente, al fine di dimostrare la sussistenza a proprio danno del comportamento discriminatorio, di dedurre elementi di fatto anche a carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi contributivi, all’assegnazione delle mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera e ai licenziamenti dell’azienda interessata.
Ora queste disposizioni si estendono anche agli episodi di discriminazione che riguardano le persone con disabilità.
Il comma 2 dell’articolo 3 del disegno di legge introduce un elemento tecnico che consente al Giudice di valutare gli elementi indizianti nei limiti dell’articolo 2729, primo comma, del codice civile che prevede che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice che deve ammettere solo presunzioni gravi, precise e concordanti. Il Giudice ha quindi una maggiore discrezionalità di giudizio nelle valutazione delle “prove”. Il ricorrente (il disabile, quindi) è maggiormente avvantaggiato nelle produzione degli elementi probatori di fatto che devono comunque essere “gravi, precisi e concordanti”.

Nel caso di esito favorevole al disabile il giudice, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno, anche non patrimoniale, ordina la cessazione del comportamento, della condotta o dell’atto discriminatorio, se ancora sussiste, e adotta ogni altro provvedimento per rimuovere gli effetti della discriminazione, compresa l’adozione, entro un dato termine, di un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.
È anche prevista una ulteriore modalità di riparazione del danno. Il giudice infatti può ordinare la pubblicazione della sentenza per una sola volta “su un quotidiano di tiratura nazionale, ovvero su uno dei quotidiani a maggiore diffusione nel territorio interessato” a spese del soccombente.
L’ultimo articolo della nuova norma prevede che la persona disabile possa farsi rappresentare in giudizio da associazioni o enti che verranno individuati con decreto del Ministro per le pari opportunità, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sulla base della finalità statutaria e della stabilità dell’organizzazione.
Le stesse associazioni e gli enti possono intervenire nei giudizi per danno subìto dalle persone con disabilità e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti lesivi degli interessi delle persone stesse. Sono altresì legittimate ad agire, in relazione ai comportamenti discriminatori quando questi assumano carattere collettivo e quindi, ad esempio, ricorrere al giudice amministrativo (il TAR) contro le delibere regionali o dei comuni.

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Un pensiero su “Tutela giudiziaria e discriminazioni per i diversamente abili.

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