Costruito un robot di nome Kaspar che aiuta i bambini autistici

Cappellino nero, camicia a scacchi e jeans arrotolati sotto il ginocchio, Kaspar è il compagno di gioco perfetto per un bambino autistico. Sorride a comando, si muove lentamente, non adotta comportamenti inprevedibili e seduto potrebbe essere scambiato per un bambino poco socievole. Ma Kaspar non è umano. È il robot utilizzato dell’Adaptive systems research group dell’università dell’Hertfordshire in un progetto di supporto a chi è affetto da autismo.

Il nome nasconde l’acronimo di “Kinesics and Synchronisation in Personal Assistant Robotics” e il robot è utilizzato per sviluppare l’interazione sociale dei pazienti di età compresa tra 7 e 10 anni. “Da 5 anni portiamo Kaspar nelle scuole e studiamo in che modo i bambini interagiscono con questo compagno di gioco”, spiega Kerstin Dautenhahn, direttrice del gruppo di ricerca che investe nel progetto un budget annuale di circa 60mila sterline, “e ora stiamo per lanciare una nuova sperimentazione . Vogliamo programmare il robot per seguire i piccoli pazienti anche a casa, quando non sono sotto la supervisione diretta di uno dei circa 20 membri del gruppo di ricerca”. Il progetto si chiama Aurora e per il momento è limitato alla malattia dell’autismo, anche se “in ambito medico robot simili possono essere programmati per assistere chi è affetto dalla sindrome di Down o da disturbi dell’attenzione”, aggiunge Dautenhahn, specializzata in “social robotics”, il ramo della robotica che studia l’interazione sociale tra umani e macchine. Il successo di Kaspar nel trattamento dell’autismo è collegato alla semplicità del funzionamento e al suo costo contenuto di circa mille sterline.

La macchina viene programmata e affidata a una coppia di bambini autistici, che la usano come strumento di mediazione più che come interlocutore diretto. “I bambini amano l’interazione semplice e prevedibile. Giocano con Kaspar insieme e questo li aiuta a interagire tra di loro. Il robot si muove lentamente e usa espressioni facciali ben marcate. Può essere per esempio programmato per sorridere una volta e poi sorridere sempre più frequentemente”, commenta Dautenhahn. Il robot può essere gestito anche a distanza con un telecomando simile a quello della piattaforma di gioco Wii e grazie al tessuto con sensori Roboskin è in grado di riconoscere il tocco dei pazienti con cui gioca e reagire in modo coordinato agli stimoli ricevuti. Uno degli aspetti su cui i ricercatori sono particolarmente sensibili è invece il rischio che tra il paziente e il robot si sviluppi una relazione affettiva di natura umana. “I bambini sono una categoria a rischio”, spiega la professoressa, “ma si rendono presto conto che i robot non sono umani. Non hanno la coordinazione e le abilità multi-tasking degli esseri umani e siamo ancora lontani nella ricerca e sviluppo di una macchina con cognizione mentale”. Più in generale, quello medico è un ambito di applicazione relativamente nuovo per la robotica, più spesso impiegata nei settori industriali, domestici e nell’assistenza agli anziani.

In casa, il robot UH è in grado per esempio di ricordare gli appuntamenti al suo proprietario, o portare la medicina da prendere al tavolo della colazione. Secondo la European Robotics platform (Europ), nel 2025 il settore raggiungerà il valore di oltre 70 milioni di euro. A differenza di quanto raccontato dalla letteratura di settore, nei dipartimenti di ricerca di tutto il mondo l’innovazione non ha oggi l’obiettivo di creare una macchina che riproduca i comportamenti umani. La ricerca punta soprattutto a migliorare la facilità d’uso delle macchine già in commercio. Un esempio sono le batterie e fonti di alimentazione costanti, oggi inefficienti. “Portiamo con noi diversi pacchi batteria e per ogni ora di attività ne serve una di ricarica. Lo sviluppo di pannelli solari ad hoc potrebbe essere una buona alternativa”, commenta la professoressa, che precisa, “la realtà della ricerca robotica è che parliamo di strumenti meccanici. I robot non sono molto diversi da un tostapane, è importante sottolineare anche cosa non possono fare”.

FONTE:

SuperAbile.it

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