A Parma assegnato il primo orto sociale attrezzato

TrattoreÈ stato un pioniere dello sport disabile, un nemico accanito delle barriere architettoniche e un protagonista delle lotte contro i pregiudizi sulla disabilità. Ma l’ultima missione di Giuseppe Colao è l’agricoltura. Sulla sedia a ruote dall’età di 25 anni (“sono rimasto schiacciato sotto una gru”), da novembre Giuseppe è il primo assegnatario di un orto sociale attrezzato a misura di disabile. Nato da un’idea della cooperativa “La mano di scorta” di Parma, “l’orto è composto da alcune vasche rialzate riempite di terra – spiega Giuseppe -, completato da una battuta di cemento per rendere il terreno accessibile anche alla sedia a ruote e gli impianti di irrigazione”.

Quello di Giuseppe, che oggi ha 54 anni, è il primo orto nel suo genere, ma la cooperativa è già alla ricerca di nuovi spazi e soprattutto di sponsor, perché gli interventi per rendere l’orto accessibile costano 6mila euro. Nel frattempo Giuseppe ha già iniziato a coltivare. “Per ora ho piantato solo insalate, data la stagione – racconta -. Del resto il giardinaggio è sempre stata una mia passione, ma prima potevo praticarla solo sul terrazzo di casa”.

Non è la prima volta che Giuseppe fa da “apripista” in progetti che ampliano le possibilità delle persone disabili. “Nel 1983 sono stato fra i fondatori della Gioco Polisportiva di Parma – ricorda – la prima società di educazione allo sport per disabili dell’Emilia-Romagna”. E di sport ne ha praticati tanti in prima persona, dal basket all’handybike fino al tiro a segno, ottenendo anche risultati importanti. L’impegno sportivo di Giuseppe continua oggi nella redazione del periodico “Sportivamente altro”. “Allora lo sport per disabili era una novità – racconta -: le strutture erano molto scarse e anche gli attrezzi erano diversi. Oggi in questo campo la tecnologia ha fatto progressi enormi, che sono serviti anche a tutti gli atleti, non solo a quelli con disabilità”.

Dallo sport all’orto sociale, quindi, sempre con una vitalità e una voglia di mettersi alla prova davvero fuori dal comune. “Ma non è stato sempre così – aggiunge Giuseppe -: il primo periodo dopo il mio incidente è stato molto difficile, ma sono riuscito a reagire abbastanza in fretta. Penso di aver avuto l’atteggiamento giusto, volevo fin da subito rendermi autonomo e indipendente, anche se la mia famiglia era pronta a sostenermi”. Da una persona con una storia così si possono accettare anche consigli, e Giuseppe ne ha uno in particolare. “Non chiudersi in casa, ma stare in mezzo alla gente – dice – è così che piano piano abbiamo cambiato l’immagine della disabilità”. In questi 30 anni, secondo Giuseppe, l’atteggiamento delle persone è cambiato. “E siamo stati noi a cambiarlo – spiega – siamo stati noi ad abituarli alla nostra presenza. Non possiamo aspettare che siano gli altri a venirci a cercare. Dobbiamo muoverci noi. Come? Per esempio, come è capitato anche a me, andando nelle scuole a spiegare la disabilità ai bambini”.

FONTE:

SuperAbile.it

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