A Courmayeur, dove vive, per tutti è “il terrone”. Per noi, è solo Andrea Tabanelli. Nasce a Perugia, 48 anni fa, dove studia con profitto al liceo scientifico, e si iscrive alla facoltà di Economia e commercio. Tutto fila liscio: la sua carriera sembra avviata naturalmente alla professione di commercialista. Invece il destino di Andrea decide diversamente, almeno in parte. Si fa male a metà degli studi universitari, a 25 anni. Si schianta con la moto da cross “su una colonna di pietra, sotto casa mia, banalmente: stavo per andare a funghi con la mia ragazza. La moto si impenna improvvisamente e per evitare un gruppo di ragazzini che giocavano a pallone… Meglio così: almeno ci siamo tutti, a poterlo raccontare, quei ragazzi ed io”. Insomma, fatto sta che torna all’Università e si trova emarginato. Addirittura, i professori non si degnano di scendere a piano terra per fare l’esame a Tabanelli, costretto in carrozzina, “ma erano altri tempi” li giustifica. Si trova di fronte barriere fisiche e mentali pesantissime, così, “un po’ anche per mangiare”, sceglie di frequentare il Ragioneria e iscriversi poi all’albo dei Ragionieri commercialisti. Così oggi ha una sfilza di clienti, in questi giorni è oberato dalle scadenze fiscali e tributarie, bilanci, consigli d’amministrazione e cose del genere. “Vorrei che la giornata durasse 36 ore, ma forse non mi basterebbero lo stesso”, spiega. Anche perché ha una figlia cui badare, Margherita: “Ti dico solo che ha quattordici anni… avrai capito”. Già, età critica e delicatissima, di cui, però, Andrea condivide il peso con una donna straordinaria, la moglie Sara, la stessa che era con lui sulla moto, quel giorno maledetto. Direte voi, che c’entra lo sport con questa persona? C’entra, eccome: con lo sport Andrea si è preso tante rivincite, che gli hanno fatto sopportare meglio la sua paraplegia. Curling in carrozzina, si chiama la sua passione.
Da tanto sei leader della Nazionale che porterai a Vancouver grazie alle qualificazioni ottenute ai Mondiali canadesi di febbrai. Come è cominciata la passione per il curling?
Ero a cena con amici, eravamo davanti a una pizza, mi hanno detto di provare questo sport sul ghiaccio, che si poteva fare da seduti… è andata così. Però era, ed è tuttora, uno sport poco conosciuto. In Italia scontiamo un ritardo culturale, in questo senso. Purtroppo gli impianti del ghiaccio dove praticarlo si contano su una sola mano. E sono tutti al Nord.
Dove vivi: come si arriva da Perugia a Courmayeur?
Avevo già dei parenti, da queste parti. Poi ho sempre preferito la montagna, al mare, le arrampicate sportive, sciare. Per me è stato naturale trasferirmi qua, e mia moglie mi ha seguito volentieri.
E dal nulla assoluto, quello dei tuoi esordi nel curling, come si arriva a ben 9 squadre iscritte all’ultimo Campionato Italiano?
Il livello tecnico è cresciuto moltissimo, negli ultimi anni: i ragazzi di Periscopio, che si sono aggiudicati lo scudetto della stagione, sono davvero ragazzi di talento. La mia squadra, Disval, è arrivata seconda, perché ¾ dei componenti sono anche in Nazionale, e gli impegni in giro per il mondo spesso ci deconcentrano dalle cose di casa. Comunque già il fatto che ci siano addirittura 9 squadre parla chiaro sui progressi di questa meravigliosa disciplina.
Capito: occorrono nuovi impianti, altrimenti non si cresce…
Pensa che in Canada, dove appunto andremo a giocarci le Paralimpiadi, ci sono circa 22mila club di curling, lì è tradizione radicatissima.
Va bene: il curling lo hai tenuto a battesimo, sei un veterano, ormai. C’è qualche altro sport che dovrebbe spiccare il volo e da noi ancora è sconosciuto?
Uno ci sarebbe, il tiro a volo, e sto puntando alto: a portarlo addirittura a Londra 2012.
Leggevo: dal tuo palmares risultano anche titoli nazionali nel tiro a volo disabili.
Sono vice campione di fossa olimpica, e ho scoperto che è uno sport “estivo”, per me, divertentissimo. È affine al curling, a livello mentale. Ora le occasioni di gara integrata, con atleti normodotati sono piuttosto sporadiche. Ma so che i vertici politici del Cip e della Federazione Italiana Tiro a Volo stanno lavorando a che questo diventi uno sport diffuso anche tra i disabili. Anche io mi sto spendendo molto, per portarlo a Londra 2012. Sarebbe un sogno.
Quindi mi hai bruciato l’ultima domanda: che farai quando andrai “in pensione”, al termine della carriera sportiva?
Brava, mi butto nel tiro a volo: tanto non ci sono problemi anagrafici, come per il curling. E poi, dopo 10-12 anni sul ghiaccio dei palazzetti, ho diritto a sognare un po’ di caldo.
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