Fortunatamente, sia dal punto di vista umano che professionale, oggi la maggioranza delle azienda è consapevole del fatto che la disabilità non costituisce né un adempimento forzato fine a se stesso né, tanto meno, un onere, considerando, invece, il valore aggiunto che una persona con disabilità motorie può portare in un ambiente di lavoro, qualunque esso sia, con il suo bagaglio di esperienza, di forza, di coraggio e, perché no, anche di caparbietà ed orgoglio, a beneficio del rendimento e dello spirito di collaborazione fra tutti i colleghi.
Non a caso, assumere una persona disabile, consente all’impresa di esprimere il proprio valore sociale, rafforzando il concetto di organizzazione del lavoro e, soprattutto, spazzando via quella falsa immagine filantropica di chi intende far lavorare donne o uomini con disabilità soltanto per “un’opera buona”. È tempo di una nuova e diversa visione all’inserimento, basato sul valore della persona, qualunque sia la sua condizione fisica, al fine di ottenere, oltre a dignità e soddisfazione, anche obiettivi sfidanti e risultati economici importanti per ogni business.
Comunque, al di là del buon senso e delle opportunità, anche la Legge italiana dà una mano al rispetto civico nell’ambito del lavoro, in quanto, come sappiamo, dall’1 gennaio 2018 sono in vigore specifiche norme per il collocamento dei lavoratori disabili. Stiamo parlando, ovviamente, di quelle persone inserite, di fatto, nelle cosiddette “categorie protette”, per il riconoscimento delle quali è necessario un percorso medico, che parte da una certificazione e prosegue con specifici accertamenti ed inserimenti in graduatorie dedicate.
Prima di quella data, un’azienda con almeno 15 dipendenti, per essere obbligata ad assumere una persona con gravi disabilità, e dunque inserita nelle liste specifiche della categoria, doveva necessariamente posizionarne un’altra. Dal 1° gennaio 2018, invece, è sufficiente il tetto minimo dei 15 dipendenti per far scattare l’obbligo di assunzione di un disabile, grazie alla soppressione, nella legge 68/1999, che disciplina il collocamento mirato, dell’articolo 3, comma 2. In questo modo, il sistema attuale prevede dunque il dovere e l’impegno di società e ditte con almeno 15 lavoratori di assumere determinate quote di persone disabili, in base a convenzioni di legge, peraltro interessanti e convenienti anche per gli stessi datori di lavoro, poiché vengono avvantaggiati dal punto di vista delle agevolazioni fiscali.
In base all’organico lavorativo di ogni azienda, cambiano gli obblighi numerici, che si distinguono in 3 diversi scaglioni, tutti invitati a rispettare l’impegno di assunzione con richiesta di personale appartenente alle categorie protette entro un massimo di 60 giorni, così come di seguito distinto:
- Da 15 a 35 dipendenti, per almeno un lavoratore disabile
- Da 36 a 50 dipendenti, necessariamente per due disabili
- Da 51 dipendenti e oltre, minimo il 7% di invalidi, nonché l’1% a favore dei familiari di persone con disabilità gravi e permanenti, e di profughi rimpatriati.
Per le ditte inadempienti, sono previste sanzioni anche molto onerose, tali, a volte, da superare economicamente i costi stessi delle assunzioni oltre, comunque, a non annullare l’obbligo sancito per legge con il decreto Milleproroghe, emanato dal precedente Governo. Gli oneri devono essere assolti non in maniera generica, ma specificamente mediante una richiesta nominativa, la quale va indirizzata al servizio disabili della città in cui ha sede l’azienda. L’organo preposto a vigilare sulla regolarità di tale processo è l’Ispettorato Territoriale del Lavoro, che deve assicurarsi, fra l’altro, che dette regole siano applicate anche a partiti politici, onlus, associazioni in genere e sindacati. Come dicevamo, multe e sanzioni per le aziende che non rispettano tempi e percentuali risultano particolarmente elevate, passando dai precedenti € 62,77 agli attuali € 153,20 per ogni giorno lavorativo di ritardo, e per ciascuna risorsa non assunta.
Ma anche il disabile ha, da parte sua, degli impegni specifici per poter rientrare nel collocamento mirato. Infatti, per avere accesso a queste possibilità, e ai diritti che ne conseguono, è necessario fare domanda, attraverso l’INPS, di invalidità civile a causa della determinata patologia. La prassi prevede un primo step direttamente dal proprio medico curante che, dopo aver stilato il certificato dettagliato, lo deve proseguire per mezzo del canale telematico, mentre in maniera contestuale lo stesso disabile presenta, sempre all’INPS, domanda per il riconoscimento della propria condizione. Segue una visita collegiale di accertamento, effettuata da una commissione medica, presso la sede ATS di riferimento che, dopo aver effettuato le dovute valutazioni, conferma, o meno, l’invalidità, consentendo l’inserimento nel collocamento delle categorie protette.
Ricordiamo, infine, una su tutte, la UILDM, l’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, un’associazione che, da ormai quasi 60 anni, persegue l’obiettivo, oltre che di combattere le distrofie, di promuovere l’inserimento sociale e lavorativo delle persone disabili, sollecitando, fra le tante attività, anche il diritto allo studio e all’occupazione, con una serie di iniziative ed interventi atti a favorire sia il disabile stesso che i datori di lavoro.